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RePress: un plugin WordPress per i siti censurati usato anche per The Pirate Bay

Un nuovo plugin WordPress studiato appositamente per quei paesi dove Internet e i siti web sono sotto il controllo dei proprio rispettivi governi: RePress permette la visualizzazione e lo sblocco dei siti censutati, utilizzando dei specifici proxy.

Questo plugin è stato sviluppato dalla compagni olandese Greenhost per grandi siti come The Pirate Bay e Wikileaks che risultano essere oscuranti (continua…)

La censura in Tunisia

L’Agence tunisienne d’Internet (ATI, Agenzia tunisina di Internet), il principale Internet provider del Paese è accusato di registrare, senza il consenso degli utenti, gli username e le password per i servizi Yahoo!, GoogleFacebook. Lo dice un articolo del magazine Tech Herald che, dopo aver intervistato degli esperti, giunge alla conclusione che l’ATI utilizzerebbe un linguaggio javascript per piratare queste informazioni.

Dopo il suicidio di Mohamed Bouazizi a Sidi Bouzid lo scorso 17 dicembre moti spontanei sono scoppiati nel Paese: i manifestanti hanno usato i social network (soprattutto Facebook) per comunicare e, in risposta, la polizia ha iniziato un vero attacco informatico. Blogger arrestati, conti bloccati, siti oscurati: è la guerra contro quello che i manifestanti chiamano ”Ammar”, l’apparato di censura dello Stato.

Facebook in Tunisia conta 2milioni di utilizzatori, su una popolazione di 10 milioni. Siti come You Tube e Daylimotion non sono accessibili e su Facebook la popolazione ha potuto far girare dei video e delle gallerie foto delle manifestazioni. Alcuni esempi quiqui e ancora qui.

La Tunisia è classificata tra i “nemici di Internet” da Reporter sans Frontierer per il filtraggio del web che viene applicato quotidianamente nel Paese.

Fonte: http://www.agoravox.it

La Cina dietro l’ attacco a Google?

Wikileaks ha rilasciato informazioni anche su avvenimenti del mondo del web: il sito ha infatti rilasciato documenti che contengono scottanti verità su un fatto che ha scatenato non pochi problemi a livello politico: gli attacchi mirati contro Google e altre aziende USA operanti in Cina. Nella documentazione, infatti, è presente una nota: l’ attacco cracker di gennaio è tutta opera della Cina.
I sospetti già al tempo ricaddero sul governo cinese e in primis Google, uno tra i gruppi più duramente colpiti, affermò che si trattava di un attacco mirato e di alto livello, un accesso ai server che, partendo da Gmail, metteva in pericolo i dati personali archiviati in Cina. Il risultato è stata la rottura dei rapporti e l’abbandono di Google.cn.

Adesso, questi documenti rilasciati, non fanno altro che confermare quelli che erano semplici rumors, facendo nascere un caso internazionale: un contatto cinese ha confermato all’ambasciata USA a Beijing che il Politburo cinese ha attivamente orchestrato la campagna d’attacco contro le aziende USA e che quindi dietro l’affair Google ci siano direttamente i vertici delle istituzioni del paese.
La Cina ovviamente nega tutto: «Le accuse per cui il governo cinese avrebbe partecipato a qualsivoglia cyberattacco, sia in modo esplicito che in modo non esplicito, sono senza fondamento e mirano a denigrare la Cina. Ci opponiamo con forza a ciò».